Indice
- Introduzione
- Vita, famiglia e carriera
- Ossessioni e compulsioni
- Isolamento e declino
- L’autopsia psicologica
- Cosa ci insegna oggi
- Curiosità
- Howard Hughes nel cinema e nella cultura pop
- Bibliografia
Introduzione
Oggi proseguiamo il nostro viaggio tra i personaggi storici che, secondo le testimonianze e le fonti disponibili, hanno mostrato sintomi riconducibili al Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC). Questa volta il viaggio sarà ad alta quota: parleremo infatti del leggendario aviatore e imprenditore americano Howard Hughes, uno dei personaggi più enigmatici ed eccentrici del Novecento.
Forse ti è capitato di vedere il film The Aviator, in cui Leonardo DiCaprio interpreta Howard Hughes sotto la regia di Martin Scorsese. Restano impresse le scene in cui il protagonista si lava ossessivamente le mani con la sua saponetta personale, custodita in una scatolina di latta, o aspetta che qualcuno apra la porta del bagno pur di non toccare la maniglia. O ancora quelle in cui ripete frasi in sequenza, lasciando i collaboratori senza parole.
Oltre la rappresentazione cinematografica, diverse fonti biografiche confermano che Hughes soffrì realmente di DOC, con rituali che ne segnarono profondamente la vita.
🎬Box speciale – The Aviator: Howard Hughes al cinema
- The Aviator (2004) è diretto da Martin Scorsese e interpretato da Leonardo DiCaprio.
- Il film ripercorre gli anni d’oro di Hughes, dalle imprese come aviatore e produttore fino al declino legato alle ossessioni.
- Mostra in modo vivido la paura dei germi, i rituali di lavaggio e l’isolamento crescente del miliardario.
- Vinse 5 Premi Oscar (su 11 nomination) e DiCaprio ottenne il Golden Globe come miglior attore.
- Molte scene, come la “germ-free zone”, si ispirano a episodi realmente riportati da biografi e collaboratori.
👉 The Aviator ha contribuito a far conoscere al grande pubblico il lato più nascosto di Hughes, offrendo uno spunto per parlare di Disturbo Ossessivo-Compulsivo in chiave divulgativa.
🎥DOC da contaminazione: un esempio visivo
Questo filmato mostra una scena che illustra con chiarezza la fobia dei germi e i rituali ossessivi di Howard Hughes — comportamenti oggi riconducibili al Disturbo Ossessivo-Compulsivo da contaminazione. Un esempio concreto di come la mente possa trasformare la paura di ammalarsi in compulsioni ripetitive di lavaggio.
Vita, famiglia e carriera
Nato il 24 dicembre 1905 a Houston (Texas), Howard Robard Hughes Jr. crebbe in una famiglia molto ricca e influente. Il padre era un ingegnere ed inventò una trivella per il petrolio che rese la famiglia milionaria. La madre, invece, era nota per la sua fobia dei microbi e un’attenzione ossessiva alla salute del figlio, temendo costantemente che potesse ammalarsi di poliomielite o altre malattie infettive.
Fin da bambino, Hughes mostrò un’intelligenza vivace e una curiosità fuori dal comune. Pensate che a soli 11 anni costruì una stazione radio funzionante e un piccolo trasmettitore telegrafico con cui riusciva a comunicare con altri radioamatori della zona. A 12 anni progettò una bicicletta con motore e realizzò un rudimentale dispositivo di accensione automatica. A 13 e 14 anni trascorreva ore a smontare e rimontare motori d’aereo nel garage di casa, studiando da autodidatta manuali di meccanica e riviste di ingegneria aeronautica. Sempre a 14 anni prese la sua prima lezione di volo, un’esperienza che segnò l’inizio di una passione destinata a trasformarsi in una vera e propria missione di vita.
Dopo la morte prematura dei genitori, avvenuta quando aveva circa 19 anni, Hughes ereditò l’intera fortuna di famiglia e decise di investirla per inseguire le sue due grandi passioni: l’aviazione e il cinema, due mondi che avrebbe rivoluzionato con la stessa determinazione e lo stesso perfezionismo che, negli anni, sarebbero diventati tanto la sua forza quanto la sua ossessione.
Negli anni ’30 e ’40 Hughes progettò e pilotò aerei rivoluzionari, spingendosi dove nessuno era mai arrivato. Nel 1935 stabilì il record mondiale di velocità aerea a bordo dell’H-1 Racer, un velivolo da lui stesso progettato e costruito, raggiungendo oltre 560 km/h — un risultato straordinario per l’epoca, che influenzò profondamente il design aeronautico successivo.
Tre anni dopo, nel 1938, realizzò un’impresa ancora più audace: il giro del mondo in aereo in appena 91 ore e 14 minuti, partendo e atterrando a New York dopo aver sorvolato Parigi, Mosca, Omsk, Yakutsk, Fairbanks e Minneapolis. Al suo ritorno, fu accolto come un eroe nazionale, incarnazione dell’ingegno americano, del coraggio e dello spirito di modernità che caratterizzavano quegli anni.
Nei decenni successivi, grazie ai profitti delle sue aziende aeronautiche e petrolifere, divenne l’uomo più ricco d’America, un’icona di successo e potere economico. Eppure, dietro questa immagine pubblica di genio visionario, cominciavano a emergere le prime crepe: il bisogno di controllo e la paura della contaminazione che, negli anni, avrebbero finito per isolarlo dal mondo.
Parallelamente, a Hollywood produsse film rivoluzionari come Hell’s Angels (1930), Scarface (1932) e The Outlaw (1943), celebri per le riprese straordinarie e l’uso innovativo della tecnologia cinematografica. Con Scarface — diretto da Howard Hawks — Hughes ingaggiò una lunga battaglia con la censura, tra tagli, riscritture e finali alternativi: un ulteriore segno del suo bisogno di controllo su ogni dettaglio produttivo ed estetico.
Hell’s Angels, in particolare, rappresentò un vero e proprio banco di prova del suo perfezionismo. Hughes volle dirigere personalmente molte delle scene aeree, pretendendo che fossero riprese reali e non simulate — una scelta forse estrema per l’epoca, che portò, purtroppo, alla morte di alcuni piloti durante le riprese. Il film richiese più di tre anni di lavorazione e un budget astronomico per l’epoca (oltre 4 milioni di dollari), con continui rifacimenti dovuti alla sua insoddisfazione per la resa visiva delle nuvole, dell’illuminazione o dei movimenti degli aerei. Quando, a metà produzione, il cinema passò dal muto al sonoro, Hughes decise di rigirare gran parte del film per intero, spinto dal bisogno che ogni dettaglio “fosse perfetto”.
Oggi, alla luce della psicologia clinica moderna, potremmo dire che queste scelte riflettevano forme di perfezionismo ossessivo, riconducibili alle cosiddette Not Just Right Experiences (NJRE): quelle sensazioni interne di incompletezza o di “non aver fatto le cose nel modo giusto” che spingono la persona a ripetere un gesto o a ricontrollare finché non raggiunge una percezione soggettiva di equilibrio o correttezza.
Nel caso di Hughes, la ricerca quasi maniacale della perfezione — nelle scene cinematografiche come nei progetti aeronautici — sembrava rispondere proprio a questa tensione interiore difficile da placare, un bisogno di ordine e controllo che lo portava a spingersi sempre oltre, inseguendo uno standard ideale che solo lui poteva percepire come davvero “giusto”.
Brillante e visionario, Hughes era animato da un bisogno di controllo totale, che lo portava a girare le stesse scene decine di volte pur di raggiungere il risultato che riteneva perfetto. Ma dietro l’immagine pubblica di genio e playboy che il mondo vedeva, si celava un’inquietudine profonda, un bisogno di controllo che, con il tempo, si trasformò in una prigione interiore da cui gli divenne sempre più difficile liberarsi.
Ossessioni e compulsioni
Con il passare degli anni, Hughes sviluppò una fobia dei germi sempre più invalidante, che divenne il centro della sua esistenza. I rituali di pulizia e controllo iniziarono a scandire ogni momento della sua giornata, assumendo proporzioni sempre più pervasive.
Tra i comportamenti storicamente documentati:
- Usava fino a quindici fazzoletti solo per aprire la maniglia di una porta o prendere una saponetta “sicura”.
- Scrisse un manuale per i collaboratori con istruzioni dettagliate su come aprire correttamente una lattina di pesche, includendo passaggi di lavaggio e disinfezione.
- Ordinava al personale di lavarsi le mani decine di volte e di servirgli il cibo solo con le mani avvolte nella carta.
- Indossava scatole di fazzoletti ai piedi per proteggersi dai microbi e arrivava a bruciare i propri vestiti se qualcuno vicino a lui si ammalava.
- Si isolava in stanze completamente oscurate, che definiva “germ-free zone”, controllando meticolosamente temperatura, luce e disposizione degli oggetti.
A questi rituali si aggiungevano altre compulsioni meno note ma altrettanto significative. Hughes ripeteva spesso le stesse frasi in modo meccanico, soprattutto nei momenti di tensione; accumulava fazzoletti, bottiglie e oggetti “puliti” che dovevano restare separati da tutto il resto; rifiutava ogni contatto fisico e comunicava con i collaboratori solo attraverso biglietti scritti, per evitare di parlare o respirare nella stessa stanza.
Era ossessionato anche dal posizionamento degli oggetti: una matita fuori posto o una sedia spostata di pochi centimetri potevano scatenare lunghe discussioni. Anche il sonno era regolato da rituali rigidi, per esempio tendeva a dormire nudo su lenzuola sterilizzate, al buio completo, spesso per giorni senza interrompere la routine.
Il paradosso più profondo era che, pur temendo la contaminazione esterna, Hughes finì per trascurare completamente la propria igiene personale. Smise di lavarsi, di tagliare unghie e capelli, trascorrendo giornate intere chiuso in stanze buie o hotel, immerso in un mondo che cercava disperatamente di mantenere sotto controllo.
Isolamento e declino
Negli ultimi anni della sua vita, Hughes si isolò quasi completamente. Visse per mesi rinchiuso in suite d’albergo con le tende sempre chiuse, parlando con i collaboratori solo tramite fogliettini di carta passati sotto la porta. In un periodo rimase oltre quattro mesi in una sala di proiezione, nutrendosi soltanto di pollo, cioccolato e latte, circondato da scatole di fazzoletti che riorganizzava continuamente.
Quando morì, nel 1976, pesava meno di 45 kg. Nonostante il successo, la ricchezza e l’immagine pubblica di genio visionario, Hughes era ormai prigioniero delle sue ossessioni, vittima di un disturbo che non fu mai realmente riconosciuto né trattato.
L’autopsia psicologica
Dopo la sua morte, l’American Psychological Association incaricò lo psicologo Raymond D. Fowler di condurre una autopsia psicologica: una ricostruzione dello stato mentale del soggetto attraverso testimonianze, lettere e documenti personali.
Fowler intervistò ex collaboratori di Hughes e analizzò numerose lettere della madre, individuando un filo conduttore costante: un’infanzia segnata dall’ansia materna, dalla paura dei germi e dall’iperprotezione. Secondo Fowler (Clay, 2005), queste dinamiche avrebbero contribuito a creare una vulnerabilità psicologica che, nel tempo, si manifestò in fobie, compulsioni e un progressivo isolamento dal mondo.
Cosa ci insegna oggi
Il caso di Howard Hughes ci insegna che il Disturbo Ossessivo-Compulsivo (DOC) non è una “mania” o un segno di eccentricità, ma una condizione clinica complessa che può diventare profondamente invalidante se non trattato in modo adeguato.
- I rituali compulsivi offrono un sollievo temporaneo ma, nel lungo termine, mantengono la sofferenza e alimentano il problema.
- Il DOC può compromettere in modo significativo la qualità della vita e le relazioni personali, soprattutto quando non viene riconosciuto o affrontato.
- Oggi, però, disponiamo di terapie evidence-based efficaci, come la Cognitive Behavioral Therapy (CBT), che aiutano le persone a ridurre i sintomi, migliorare il benessere e ritrovare equilibrio nella propria vita.
È importante ricordare che quello di Hughes rappresenta un caso estremo, aggravato dal contesto storico e dall’assenza di trattamenti psicoterapeutici efficaci all’epoca. Oggi, nella grande maggioranza dei casi, il DOC può essere gestito con successo: con il giusto percorso terapeutico, molte persone riescono a vivere in modo pieno, libero e coerente con i propri valori.
👉 Se ti riconosci in alcuni di questi aspetti, sappi che non sei solo. In Italia quasi un milione di persone convive con il DOC. Con un adeguato percorso psicoterapeutico, è possibile ridurre la sofferenza e tornare a vivere pienamente la propria vita.
💡Curiosità
- Un patrimonio colossale: alla fine degli anni ’50, il patrimonio personale di Hughes era stimato in circa 1,5 miliardi di dollari, una cifra che oggi equivarrebbe a oltre 15 miliardi di dollari (a seconda del metodo di conversione e inflazione). Era, di fatto, l’uomo più ricco d’America.
- Il più grande aereo in legno mai costruito: il suo celebre H-4 Hercules, soprannominato Spruce Goose, era interamente realizzato in legno per aggirare le restrizioni belliche sull’uso dei metalli. Volò una sola volta nel 1947, per circa un minuto e mezzo, ma raggiunse un’altezza di 21 metri: un record tecnico ancora oggi ineguagliato per un velivolo di quel tipo (questo record è ben rappresentato nella scena finale del film The Aviator da Leonardo DiCaprio).
- Un’eredità contesa: morì nel 1976 senza testamento, scatenando una delle più lunghe e complesse battaglie legali della storia americana, con centinaia di presunti eredi e documenti falsi comparsi in tutto il Paese.
- L’uomo che non voleva essere trovato: negli ultimi dieci anni di vita, cambiò residenza almeno dieci volte, spostandosi tra hotel di lusso a Las Vegas, Nassau e Acapulco. Nessuno sapeva esattamente dove fosse, e per la stampa americana divenne una sorta di leggenda vivente.
- Un cervello e un corpo sotto stress: quando morì, pesava 44,5 kg, aveva i capelli lunghi fino alle spalle e le unghie dei piedi di diversi centimetri. Nonostante questo stato fisico, l’autopsia rivelò che il suo cuore era ancora in buone condizioni, segno di una costituzione eccezionale.
🎬 Howard Hughes nel cinema e nella cultura pop
La figura di Howard Hughes, caratterizzata da una genialità visionaria e ma anche da sofferenza psicologica, ha lasciato un segno profondo nel cinema e nella cultura contemporanea. La sua vita straordinaria — fatta di successi, record e isolamento — ha ispirato diversi registi e personaggi di fantasia, diventando un simbolo del confine sottile tra successo e vulnerabilità.
- 🎞️ The Aviator (2004, regia di Martin Scorsese)
È il film biografico più accurato e riconosciuto su Hughes. Interpretato da Leonardo DiCaprio, racconta gli anni dell’ascesa, le innovazioni aeronautiche e il progressivo aggravarsi delle sue ossessioni. Il film vinse 5 premi Oscar, tra cui miglior fotografia e miglior attrice non protagonista (Cate Blanchett nei panni di Katharine Hepburn). - 🎞️ Melvin and Howard (1980, regia di Jonathan Demme)
Ispirato a una storia vera, narra le vicende di un uomo che sostiene di essere stato nominato erede di Hughes in un testamento ritrovato dopo la sua morte. Il film esplora il mito dell’uomo più ricco d’America e il fascino che continuava a esercitare anche dopo la scomparsa. Vinse due Oscar (miglior sceneggiatura e miglior attrice non protagonista). - 🎞️ The Amazing Howard Hughes (1977, regia di William A. Graham)
Film biografico per la televisione con Tommy Lee Jones nel ruolo di Hughes. Copre gran parte della sua vita, dall’infanzia al ritiro, con un taglio più narrativo e romantico rispetto al film di Scorsese. - 🎞️ Hughes and Harlow: Angels in Hell (1977, regia di Larry Buchanan)
Racconta la relazione tra Hughes e l’attrice Jean Harlow durante la produzione di Hell’s Angels. Un film minore ma interessante per chi vuole esplorare il lato più umano e sentimentale del personaggio.
Al di là delle biografie dirette, Howard Hughes ha influenzato profondamente l’immaginario collettivo, diventando il modello per vari personaggi di fantasia:
- In Iron Man, il personaggio di Tony Stark è liberamente ispirato a Howard Hughes — lo stesso Stan Lee dichiarò di aver pensato a un “inventore miliardario e playboy, brillante ma tormentato” prendendo spunto proprio da lui.
- Hughes viene rappresentato o citato in numerose opere di cultura pop, come The Simpsons, Futurama, The Rocketeer e The Aviator’s Children, a testimonianza del suo status di leggenda americana.
📚Bibliografia
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